Nei lavori qui esposti, la figura umana è protagonista di un paesaggio interiore denso, affollato, inquieto. I contorni si mescolano con lo sfondo nel tratto rapido e mai troppo dettagliato che dà vita a un insieme fluido, anche grazie alle velature e alle trasparenze dei pastelli e dei colori a olio abilmente diluiti. Uomini còlti in gesti semplici e insieme evocativi, uomini assorti, silenti, avvolti in turbini che sconfinano dal soggetto verso l’esterno, come spie di un’esigenza di esprimersi troppo incandescente per assumere una forma precisa. Un amalgama che esclude una netta separazione tra soggetto e contesto e che ritroviamo anche nelle rappresentazioni delle altre creature e degli oggetti qui raffigurati.

Animali provenienti dal substrato onirico dell’artista, emersi dalle profondità ctonie della sua immaginazione, compaiono quasi d’improvviso per farsi dipingere su un foglio o su una tela. Apparizioni fulminee, portatrici di messaggi da decifrare, da interpretare, oppure da lasciare andar via e perdere per sempre, travolti dal flusso senza fine del tempo. Come sogni. Vicini all’orecchio, tenuti nel palmo della mano, appoggiati a solidi dalle linee severe, gli animali possono essere interpretati come anello di congiunzione tra il reale e l’altrove, sulla scia di una tradizione che ha spesso incaricato il mondo animale alla funzione di ponte tra un al di là – morte, sogno, passato, futuro – e il presente in cui siamo immersi. 

Anche gli oggetti sono parte della scena. Vasi, pietre, piante, affermano la loro esistenza minima e muta. Forme inermi del quotidiano che popolano come oggetti di scena la vita di ciascuno di noi. Presenze concrete di universi domestici che, con l’indifferenza propria delle cose, partecipano al nostro scorrere. Che siano uomini, animali, oggetti, tutte le figure dipinte da Giorgio Rubbio in Ore crudeli, sembrano semplicemente dichiarare la loro volontà di esserci: nella loro sobria monumentalità, esse si offrono allo sguardo dell’osservatore senza orpelli, né stilistici, né di significato: sta a noi, se lo desideriamo – o se ne abbiamo il tempo e l’ardire – interrogarle, stabilire con loro un contatto destinato a rimanere comunque personale, privato.

Tra cromie gravi e terrose, lungo segni densi e magmatici, attraverso forme che rinunciano alla fedeltà anatomica o geometrica per affacciarsi su panorami espressionisti nei quali ciò che si sente è più reale di ciò che si vede, Ore crudeli è uno sguardo d’artista sul proprio tempo individuale, un’esplorazione tra le curve del profondo, una visione personale che si apre a noi come l’orizzonte illuminato da un lampo. Ma ancora di più, forse, Ore crudeli è l’affermazione di una libertà riconquistata, l’esito sofferto e felice di un processo di rivendicazione della propria identità d’artista attraverso lo svelamento del proprio mondo interiore, fissato per sempre nell’attimo misterioso e irripetibile del gesto artistico.

Enrico De Santis